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Arca gemmis quae compta coruscat, scrigno che risplende ornato di gemme.
Questa è l’iscrizione che corre sui margini e tra i riquadri della parete posteriore dell’altare d’oro della basilica di Sant’Ambrogio di Milano. Questo autentico capolavoro dell’oreficeria carolingia, realizzato in legno a cui sono state sovrapposte lastre d’oro lavorate a sbalzo, filigrane, pietre preziose e smalti, sovrasta la cripta dove sono inumate le reliquie dei Santi Gervasio e Protasio e dello stesso Sant’Ambrogio. L’altare, un tempo racchiuso all’interno di una cassa lignea che veniva aperta solo durante importanti funzioni, ora è ben visibile, protetto da una teca in vetro blindato.
Vi consiglio di recarvi a visitare la basilica, che è tra le più antiche di Milano (le prime opere murarie risalgono all’epoca romana), percorrendo la navata centrale e andando incontro a questo capolavoro medioevale del maestro Volvino, realizzato tra l’824 e e l’859. Vi assicuro che rimarrete affascinati dalla sobria imponenza della navata, al termine della quale spicca la maestosità dell’altare, tempestato da 4.379 gemme, intagli e cammei d’epoca romana, zaffiri, granati , smeraldi e ogni varietà di pietre preziose, tra cui uno zaffiro di oltre 100 carati. Ma aldilà del valore intrinseco delle pietre e delle formelle d’oro, questa meraviglia rappresenta un elemento fondamentale dell’arte medievale, oltre a essere uno dei più importanti simboli della cristianità lombarda.

La Fondazione gemmologica italiana (ente senza fini di lucro riconosciuto dalla Regione Lombardia che gestisce il Cisgem, il più importante istituto gemmologico di Italia con oltre 50 anni di attività e collaborazioni con l’Università degli studi di Milano) tra il 1988 e il 1989 ha eseguito un lavoro di analisi e classificazione di tutte le gemme che adornano l’altare.

La pillola di oggi:

nei secoli l’altare è stato oggetto di diversi «prelievi» da parte di ladri (in alcuni casi addirittura dai custodi della basilica). Pare che la maggior perdita sia avvenuta nel 1590, quando 3 formelle del fronte aureo furono rubate con diverse pietre preziose. Anche Napoleone manifestò un certo «interesse», ma l’allora parroco, saggiamente, rimosse le parti più preziose evitando così che fosse saccheggiato e trasportato in Francia.